La notte poco prima delle foreste – note di regia
Nella notte poco prima delle foreste, poco prima del punto di non ritorno della nostra umanità, poco prima della fine del mondo, un uomo, uno straniero, un estraneo, un diverso che ha tentato in tutti i modi di diventare un eguale, ferma nella pioggia un ragazzo. Che sembra un bambino. Immacolato.
Qualunque cosa aggiunga e qualunque tentativo di spiegare cosa l’estraneo dice al giovane farebbe un torto a Koltes, a Favino e al pubblico. Le piane e corrette parole che dovrei scrivere servirebbero soltanto a limitare la dolorosa vastità dell’interprete e a minimizzare la sconcertante bellezza del testo.
Altra cosa, da regista, è dare una forma a tale evento. Questa forma non è una creazione, come per l’autore e l’attore. La regia de “La notte” riguarda soltanto il portare alla luce tutto quello che si è compreso dell’abbagliante e umanissima bellezza che si è avvertita, e che quindi si è aiutato a comprendere, sia dell’attore che del testo. Anche se tracciare una linea di confine fra i due, a questo punto delle prove, è francamente uno sterile esercizio intellettuale. Depurare ed esaltare l’esistente, quindi, non aggiungere sovrastrutture espressive non necessarie.
Altro imperativo categorico di questa formalizzazione è l’assoluta comprensibilità per il pubblico. Non solo da un punto di vista logico ma per un più completo riconoscimento emotivo dell’evento a cui si assiste.
Per raggiungere questi scopi, alla regia sono necessari calore, obiettività e ascolto, non necessariamente in questo ordine. Sono altamente sconsigliati cinismo ed egotismo, in quanto fattori inquinanti e ingannatori. Bisogna esercitare l’autenticità del proprio sguardo perché generi l’autenticità dello spettacolo. Per tutto il resto, il pubblico è re.