Elettra
di Euripide
traduzione Umberto Albini e Vico Faggi
scene Bruno Buonincontri
costumi Santuzza Calì
musiche Marco Betta
coreografie Giuditta Cambieri
regia Piero Maccarinelli
con
Francesco Migliaccio, Elisabetta Pozzi, Giovanni Crippa, Graziano Piazza, Manuela Mandracchia, Laura Mazzi, Gigi Angelillo, Chicco Alcozer, Vittorio Franceschi, Ruggero Cara, Anita Bartolucci, Marco Marelli, Dario La Ferla, Antonio Piricone
Le due tragedie – Elettra ed Oreste – hanno debuttato, nel mese di giugno, al Teatro Greco di Siracusa nell’ambito del XXXVI Ciclo di Spettacoli Classici del Teatro Greco di Siracusa realizzato da Istituto Nazionale del Dramma Antico e INDA SICILIA srl
Note di regia
Immaginiamo il teatro greco come residuo meraviglioso di una civiltà che solo in parte ci è nota, un meraviglioso reperto archeologico circondato dalla città moderna che avanza e lo ingloba. In questo luogo si rappresenta la tragedia per un pubblico composito ed eterogeneo che non ha certo più la stessa tensione e la stessa partecipazione degli ateniesi del V secolo.
Siamo in un accampamento fuori dalla città, in una povera comunità che vive ai margini della città e deve procurarsi i mezzi per il sostentamento, deve tessersi gli abiti per ripararsi e provvedere autonomamente alla sopravvivenza. Pastorizia e agricoltura, quindi, con le donne al telaio e alla ricerca delle provvigioni.
Il primo personaggio che incontriamo è un contadino miceneo che lavora la terra e, benché di nobile stirpe, è costretto ad una misera condizione sociale. Nonostante questo è felice, rispetta le leggi. È lo sposo assegnato da Egisto ad Elettra, che però non volendo corrompere il γενοϝ non ha contaminato Elettra col suo seme. L’ha lasciata vergine. Già da questa premessa si può capire che il punto di vista di Euripide nel mito di Elettra è correlato di vistosi emendamenti. Siamo lontani dalla πολτϝ ed Elettra è completamente spogliata dei segni e delle funzioni del potere. È schiava, vergine, e il suo ceto sociale è cancellato. È una vergine umiliata. Da qui il suo rancore, la sua carica selvaggia. Non le è consentito nemmeno di vestire i segni esteriori del potere che, anzi, rifiuta quando le vengono offerti. (vss.190-192). Vuole umiliarsi ancora di più, svolgere ruoli che le potrebbero essere risparmiati, caricarsi della brocca e scendere alla fonte a prendere l’acqua. Elettra è un personaggio ossessionato dall’omicidio del padre, umiliato, e che vuole ancora più umiliarsi; quello che Oreste incontra appena giunto ad Argo. E Oreste non si rivela subito alla sorella, l’agnizione si dilata, Elettra è determinata alla vendetta, decisa ad agire anche a costo della vita. Il suo pensiero e la sua azione hanno un’unica direzione quasi monomaniacale. La vendetta. Uccidere per vendicare.
E anche per Oreste lei si augura che pensiero e azione abbiano lo stesso fine ossessivo: la vendetta. Ma qui ci troviamo di fronte ad un Oreste tormentato dai dubbi sulla legittimità dell’ordine dato da Apollo. Anche lui vuole la vendetta ma non sa fino a che punto spingersi. È un uomo incerto in lotta con se stesso. Sa che non si possono violare impunemente le leggi morali e i vincoli naturali.
Ma è ancora il contadino che consente ad Euripide riflessioni sulla natira dell’uomo nella società.
“Quali sono i criteri per giudicare rettamente l’uomo?” , si chiede Oreste. Le azioni e i pensieri, le amicizie, nient’altro. Ed ecco di nuovo riportata ad una dimensione esistenziale tragica, ma totalmente umana, la vicenda.
È vicenda di uomini di fronte alla loro coscienza, al loro pensiero e alle loto azioni.
È l’oracolo di Apollo? È Apollo che spinge Oreste al matricidio, ma è ammissibile che il dio lo possa spingere a tanto? E bisogna lodare gli dei artefici di tutto? (vss.890-895).
Fino a questo punto, fino all’assassinio di Egisto compiuto quasi vigliaccamente (come vigliacco è stato Tieste, come vigliacco è stato Egisto) siamo nell’ordine dell’accettabilità degli eventi. Un assassino è stato assassinato. Ma oltre questo punto? Oreste dubita dell’oracolo, della volontà di Apollo, della giustizia del suo gesto. Acconsente con dubbi all’incalzare ossessivo e ossessionato di Elettra (vss.985-7).
Ma non è certo fino all’ultimo, dubita fino all’ultimo e chiama ancora in causa gli dei. Il matricidio, insomma, è connotato negativamente da Oreste: egli è cosciente che si tratta di un atto di annientamento e distruzione.
Euripide per bocca di Oreste “sembra criticare la religione tradizionale in nome di un razionalismo che induca l’uomo a cercare all’interno della propria coscienza, senza ricorrere a giustificazioni religiose o divine, una spiegazione alla realtà ambigua e sfuggente che lo circonda”.
Anche l’arrivo di Clitennestra, la regicida, è connotato in una luce più ambiguamente conflittuale. Già il contadino parlando della regina ci ha annunciato che, nonostante la sua crudeltà, ha voluto salvare la figlia. Ma il suo arrivo, con schiave frigie, un costume sontuoso su una portantina, e i tappeti che vengono gettati ai suoi piedi, un arrivo regale, si trasforma presto in arrivo mesto; Clitennestra è corsa dalla puerpera in pompa magna ed ora quasi si vergogna delle umili condizioni in cui la figlia è costretta a vivere. Si rivela una donna fragile provata da quanto è successo. È stanca, inerme, alla ricerca di una conciliazione.
Il matricidio viene compiuto. L’atto voluto da Apollo e da Elettra e voluto/non voluto da Oreste. È una mattanza irrazionale, ma quando è compiuto ecco che la ragione, il pensiero dell’azione, tortura la coscienza dei fratelli. Oreste è in lacrime, il coro li critica, Elettra stessa è come svuotata. L’apparizione dei Dioscuri, deus ex machina, è apparizione critica e fatua testimonianza di una svogliata e contraddittoria soluzione anche nell’ambito degli dei. Sembra quasi che non vogliano mescolarsi con le decisioni di Apollo, portano una soluzione, sì ma che non è totalmente condivisa. E sulla separazione dei due fratelli l’accampamento viene smontato, e Oreste, ormai già perseguitato dalle Erinni, è finalmente solo con se stesso giacché anche l’amico Pilade partirà con Elettra; se ne va, solo, ossessionato dalle Erinni, con l’enormità dei suoi pensieri e delle azioni compiute che lo porteranno alla follia.
Ritornano soli come erano all’inizio, Oreste ed Elettra, ma con una solitudine ancora più assoluta, e tutti se ne vanno dallo spazio scenico, portando via tende e quant’altro.
La terra, la città che avanza ritornano i protagonisti.
Piero Maccarinelli
Scene
Due messe in scena di tragedie dello stesso autore, ravvicinate non solo dalla consecutività della vicenda ma anche dall’identità del cast artistico nella sua totalità, rappresentano un’esperienza nuova molto stimolante.
Ciò che accomuna le scelte da me operate nella creazione delle due scenografie è il rispetto del luogo in cui sono collocate, in senso spaziale, ovviamente, ma anche in senso qualitativo. Non ho cercato nulla che tentasse di imitare i materiali esistenti nel luogo, nulla che tentasse di pretendere di essere ciò che non è. Il tavolato di copertura è stato a sua volta ricoperto della stessa terra del luogo. I materiali usati per la costruzione sono veri, stoffa, corda, legno, ferro, senza make up.
Ciò che invece distingue la scenografia dell’Oreste da quella dell’Elettra è la prospettiva. Per l’Elettra lo spazio del teatro è rimasto completamente aperto, nella sua ampiezza totale, quasi a dare una visione aerea, complessiva, di chi guarda da lontano.
Per l’Oreste, invece, la scelta opposta, il ripristino di una skenè in legno chiude la vista dello spazio retrostante e limita e restringe la visione, quasi a osservare da vicino e intimamente la macerazione di Oreste e degli altri personaggi.
Non c’è collocazione temporale né geografica precisa dei due luoghi suggeriti. Le vicende che vi si svolgono sono vicende eterne dell’uomo.
Bruno Buonincontri
Costumi
Siracusa, il teatro greco di Siracusa: chi c’è stato pensa di ornarci, chi non c’è stato ne aspetta l’occasione.
È uno spazio particolare, un teatro diverso da altri classici; il solo pensarlo vuoto sotto il sole, sia pieno di volti attenti, mi suscita emozione, mi incute rispetto.
Sono stata altre volte a lavorarci, a volte solo per guardarlo e camminare sulle scalinate…. e camminando sulle scalinate, leggendo i testi di Elettra e di Oreste, raccontati ambedue da Euripide, parlando poi a lungo con Piero e Bruno, poco a poco i personaggi escono fuori come da una pellicola sbiadita dalla mente e prendono corpo; individuo una chiave di partenza totalmente diversa per un testo o per l’altro per poi confrontarle, completare, aggiungere, levare.
Pezzi di stoffa, colori non colori.
Qualche nota sul mio lavoro in questo spettacolo.
…un mondo di nomadi, zingari contadini di un Medio Oriente e di un Mediterraneo in parte immaginato, in parte più volte da me constatato. Oggi come ieri, come secoli e secoli fa, in certi posti uomini e donne continuano a modellare e cuocere la terra, a intrecciare stuoie e tappeti, a tessere e colorare tessuti che poi uniscono tra loro con casuale sapienza. Si fanno vesti, copricapi, kilim e sacchi: poi il sole stinge e amalgama il tutto…
Queste sono le mie intenzioni, le confeme arriveranno solo quando comincerà l’Elettra e poi l’evento di Oreste: gremito e vociante di spettatori, il grande teatro si zittirà all’improvviso e si ripeterà il rito di sempre. Non ora, ma forse allora potrei dire qualcosa di preciso su questi costumi.
Santuzza Calì
Musiche
Le musiche per “ELETTRA”, nate dalle suggestioni evocate insieme con Piero Maccarinelli, sono state immaginate come suoni provenienti da una conchiglia.
Una musica della natura e dell’anima, con linee di congiunzione fra il vento e l’inquietudine delle emozioni, tra i sassi dell’accampamento e la memoria, tra tocchi di cocci e la magia dei personaggi, antichi e moderni allo stesso tempo. La musica accompagna come altra dimensione in ombra le emozioni della tragedia.
Una musica che utilizza un antichissimo strumento greco, il “barbiton“, tonato a vivere nel nostro tempo grazie all’accurata ricostruzione voluta dal Prof. Antonio Marcellino.
Marco Betta